lunedì 25 ottobre 2010
The experiment: "mi sono fatto da solo"
Capita a volte che ci viene voglia di fare qualcosa di strano.
Per esempio, che ci venga voglia di strangolare il nostro prossimo per un qualche motivo più o meno valido. A quel punto ci facciamo un paio di conti.
Se lo strangolo, che mi succede? Di solito, a meno che non siamo mafiosi, assassini prezzolati, o pazzi, giungiamo alla conclusione che finiremmo in carcere a vita.
Ecco, abbiamo fatto un bell'esperimento mentale, simulando nella nostra testolina, date le premesse, quali saranno le conclusioni.
Gli scienziati adorano questa roba, perchè gli permette di controllare la validità di un'ipotesi senza alzarsi dalla poltrona in cui sono comodamente spalmati.
Anche i filosofi, senonchè di solito giungono a conclusioni talmente strampalate che li costringono a dubitare della validità di cose abbastanza terra terra.
Tipo, si chiedono, quali sono le conseguenze dell'affermazione che "tutto ha una causa"? Se non li si ferma in tempo, anche con una martellata in testa, possono persino giungere a conclusioni del tipo "non esiste la libertà, tutto è predeterminato sin dal big bang". E poi si sentono pure fichi per averlo pensato.
Comunque sia, gli esperimenti mentali sono utili, e per questo noi del grande Inquisitore abbiamo deciso di farne un buon uso per i nostri lettori!
L'argomento dei nostri esperimenti mentali è:
"Che cosa accadrebbe se le puttanate che spara Berlusconi non fossero puttanate?"
Perchè uno non vuole essere prevenuto. Proviamo a crederci! Magari scopriamo un enorme disegno del mondo in grado di spiegarne la complessa architettura in modo illuminante.
Forza allora!
Allora, oggi ci occupiamo dell'Affermazione A:"Mi sono fatto da solo, partendo da zero".
Cioè, è possibile costruire un impero economico da svariati miliardi di euro cominciando dalla paghetta di mamma e papà; anzi, che dico, manco da quella.
Il papà, quando Silviucciobbello era ventenne, diventa procuratore generale della Banca Rasini di Milano. Ma Silvio va da papà e gli dice: "Oh, mi compri la macchina?" e quello "Và a lavurà, terùn!"
Senonchè a Silviuccio servono 190 milioni di lire per comprare un immobile, la prima operazione certificata. Per quanto uno possa risparmiare cantando insieme ad Apicella, son tantini: serve una banca che glieli presti!
E la Banca Rasini di Milano glieli presta! Ma che culo, eh? E siccome noi crediamo all'Affermazione A, ci immaginiamo la scena.
Silviuccio si traveste con nasone e baffetti finti, aspetta che il papà esca di lavoro e si presenta allo sportello. Finge l'accento tirolese e dichiara all'impiegato attonito:
"Mi servirebbero 190 milioni per comprare un palazzo!"
"Ma lei è il figlio del nostro procuratore generale?" esclama l'impiegato, guardando la foto di Silviuccio che il procuratore generale tiene sopra la scrivania dietro di lui.
"Ma no! E anche se lo fossi, intendo farmi tutto da solo, quindi nella mia richiesta non prendete ASSOLUTAMENTE in considerazione il fatto che mio padre lavora per voi!"
L'impiegato della banca, con le lacrime agli occhi per tanta magnanimità, chiama il dirigente che si occupa dei prestiti:
"Signore, c'è qui un tipo che ci chiede 190 milioni."
"Come si chiama? Chi è?"
"Non me lo chieda, signore. Se glielo dicessi, il suo giudizio sarebbe influenzato dalla sua identità, e sarebbe terribilmente ingiusto nei confronti di chi ci chiede prestiti senza essere il figlio del nostro procuratore generale."
"Ah, capisco" dice il dirigente, "lo faccia salire, io mi benderò gli occhi per non vedere che è il figlio del nostro procuratore generale ed ascolterò la sua proposta senza preconcetti".
Così Silvio ottiene il suo prestito, senza sfruttare il proprio cognome, perchè l'AFFERMAZIONE A è vera.
Il giorno dopo, il procuratore generale Berlusconi chiama il dirigente che si occupa dei prestiti, dicendogli:
"Ma chi è questo stronzo a cui avete deciso di prestare 190 milioni senza che offra garanzie e senza che fornisca il suo nome? Ma vi siete bevuti il cervello?"
Il dirigente, asciugandosi una lacrimuccia, dice:
"Non lo so chi sia, signore. Mi prendo la responsabilità di quello che ho fatto. Se volete, licenziatemi! Ma non potevo non concedergli il prestito. Noi siamo una grande banca, è questo che mi avete insegnato, ed una grande banca a volte corre dei rischi, se crede in un progetto. Ed io ci ho creduto, signore."
"Ma che cazzo dici, stronzo! Ma almeno a sapere chi cazzo è questo!"
"Signore, non posso scrivere il suo nome, altrimenti il nostro giudizio verrebbe influenzato dalla circostanza del tutto fortuita ed ininfluente che è suo figlio."
"Ah" dice Berlusconi senior, "capisco. Hai ragione, saremmo sicuramente influenzati se ad esempio scoprissimo che si tratta, faccio per dire, di mio figlio. Hai fatto bene, allora. Siamo una grande banca, noi."
"Sì signore, siamo una grande banca. L'unico problema è che non so dove reperire i 190 milioni".
"Semplice, taglia il credito a qualche altro individuo, di quelli che hanno avuto la sfacciataggine di dirci come si chiamano, sperando, chissà, che il loro cognome li aiutasse ad ottenere i nostri soldi. Siamo una grande banca, non possiamo premiare la meschinità".
"Ma signore, gli altri correntisti sono Pippo Calò, Bernardo Provenzano e Totò Riina".
"Allora passami il telefono, chiamiamo il signor Carlo (Carlo Rasini, padrone della banca) e lo convinco a garantire personalmente per quei 190 milioni".
"Bene" dice il dirigente passando il telefono, "ma si ricordi di non dirgli che potrebbe trattarsi, in via del tutto ipotetica, anche di suo figlio!"
"Non glielo dirò assolutamente" risponde Berlusconi senior, componendo il numero "non voglio che il suo giudizio venga offuscato".
Vi risparmiamo il resto, ma, a quanto pare, Carlo Rasini disse sì, senza se e senza ma.
Ecco che si conclude il nostro primo esperimento mentale. Che cosa ne deduciamo?
Se l'Affermazione A è vera, allora la Banca Raisi di Milano era gestita da una manica di mentecatti!.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento